mercoledì 12 marzo 2014

Giustì, la bicicletta e la macchina - I racconti della Marca bassa



Giustiniano, per gli amici Giustì, era un padre di famiglia di una famiglia numerosa. Non numerosissima per quegli anni – nell’immediato dopoguerra avere cinque figli era la norma – ma comunque pochi non erano e facevano un gran baccano. Oltretutto si viveva in poco più di tre stanze di una vecchia casa e i ragazzi erano abituati a vivere, mangiare, dormire ammucchiati di qua e di là. È facile immaginare quanto fosse frequente, per non dire continuo, litigare, strattonarsi, spintonarsi, farsi ogni sorta di dispetti tra cinque fratelli la cui età variava dagli otto ai quattordici anni.
Giustì andava a lavorare fuori paese. Ogni mattina prendeva la sua vecchia bicicletta, che teneva meglio della moglie, e pedalava per circa due chilometri prima di arrivare in fabbrica. C’era abituato, ma d’estate era caldo pedalare e d’inverno, sotto la pioggia, tra la neve, non era poi così piacevole. E gli anni cominciavano a sentirsi. Guadagnava bene, Giustì, da operaio specializzato con un’esperienza che gli veniva dal fatto di essersi messo a faticare in tenerissima età. Era tenuto in grande considerazione dal padrone che gli riconosceva uno stipendio di tutto rispetto. Così gli venne in mente un’idea e, senza dire nulla alla moglie, un giorno arrivò a casa all’ora di pranzo, si sedette al suo posto in silenzio, e ne informò la famiglia riunita intorno alla spianatura con la polenta fumante sopra.
“Ce compremo la machina” disse senza troppe sfumature mentre col cucchiaio raccoglieva un po’ di materiale giallo fumante condito coi grasselli del maiale. La moglie sgranò gli occhi e le cadde il cucchiaio. Ma non disse nulla. Il figlio più grande pensò di non aver capito e domandò, facendosi portavoce dello stupore del resto della famiglia:
- che si ditto, babbo? (che hai detto, batto?).
- So ditto che me vojo comprà la machina ( ho detto che mi voglio comprare la macchina).
- Allora so’ capito vè! (allora ho capito bene) disse la moglie.
- Perché, non te sta vene? (Perché, non ti sta bene?)
La moglie chinò la testa sulla polenta e non parlò più.
Ma scoppiò il parapiglia tra i figli. Carlo gridava “io me metto davanti!”, Maurizio replicava: “no! Davanti me ce metto io che so’ più grosso!”. “Davanti ce se mette le signore” sentenziò Mariarosa. Antonietta e Fabrizio, i più piccoli, cominciarono a disputarsi il posto dietro l’autista sul divanetto posteriore. La mamma piangeva sulla polenta. I due maschi più grandi cominciarono a spintonarsi, prima piano, poi sempre più forte e, in un attimo si ritrovarono aggrovigliati sul pavimento di mattoni tra insulti  e parolacce. I due più piccoli si presero per i capelli e cominciarono una gara a chi tirava di più. Mariarosa, la figlia di mezzo, corse in braccio alla madre a piangere in coro con lei.
Giustì finì la sua polenta con la sua solita flemma, senza muovere un muscolo, senza alzare lo sguardo dalla spianatura. Come se intorno a lui ci fosse la calma più serafica invece di una rissa furibonda si versò un bicchiere di vino e se lo bevette con la lentezza che meritava. Posò il bicchiere, prese il tovagliolo, si pulì bene la bocca, si alzò e battè forte i pugli sul tavolo, tanto forte che pareva un botto di capodanno. La rissa si bloccò, anzi, si congelò. I figli si voltarono verso il padre, la moglie e la figlia piangenti alzarono gli occhi verso di lui. E Giustì, con voce alta ma senza strillare, lo sguardo fermo, le mani incrociate sul petto sentenziò la sua decisione finale: “calete jò tutti!” (scendete tutti). Prese la sua bicicletta e tornò al lavoro.

Il progetto “Teatro Novelli” oggi



Due anni fa Arkeo presentò al Comune di Montegranaro un progetto della Dottoressa Maria Letizia Vallesi per il restauro e il  recupero del teatro Novelli, la splendida struttura ottocentesca sita al primo piano del Municipio. Tale progetto allora poteva essere realizzato a costo zero in quanto erano già stati reperiti degli sponsor che ne avrebbero sostenuto gli oneri.
Il teatro, negli anni ’60, fu parzialmente distrutto per far posto all’ufficio anagrafe. Vennero irrimediabilmente persi gli ordini dei palchetti e tutte le strutture a quota bassa. Fortunatamente la costruzione di un soppalco preservò da ulteriori rovine la parte alta del locale, deliziosamente decorata a tempera, decori tutt’oggi ancora conservati. La nostra proposta, dopo una prima ricognizione, fu accantonata dall’ultima amministrazione comunale poichè, per realizzarla, era propedeutico ristrutturare almeno il tetto, in quanto è impensabile recuperare dei decori sottoposti all’azione dell’acqua piovana. Evidentemente non si reputò prioritario l’intervento e si lasciò cadere la cosa, peraltro senza nemmeno un atto di rigetto ufficiale.
Oggi, insieme alla dottoressa Vallesi, abbiamo presentato il progetto alle forze in campo per le prossime elezioni, ad eccezione delle due componenti della ex maggioranza in quanto già a conoscenza dello stesso avendolo già valutato e accantonato. Alla presenza di rappresentanze delle liste Guardiamo Avanti, Movimento 5 Stelle e Montegranaro Riparti, la dottoressa Vallesi ha illustrato il progetto e dimostrato la necessità di intervenire su questo come su altri siti di interesse culturale al fine di investire per la creazione di una nuova economia legata alla cultura. Il messaggio è stato, a nostro avviso, recepito e condiviso da tutti i convenuti tanto che è stato comune l’intento di ritenere l’intervento specifico e la questione beni culturali/centro storico come prioritarie. L’incontro ha visto svilupparsi un dibattito sereno e costruttivo anche tra competitori elettorali, anche questo fatto di rilievo e che fa ben sperare su un clima più produttivo per il futuro.
In seguito lo stesso progetto è stato presentato al Commissario Prefettizio Ianieri che lo ha valutato positivamente e che si è riservato di approfondirlo anche tramite l’ausilio dei tecnici comunali.

Luca Craia

martedì 11 marzo 2014

Poletti, gli ispettori e lo Stato assassino.



Il neo Ministro del Lavoro Giuliano Poletti, l’indomani dei tragici fatti di Casalnuovo di Napoli, nei quali un commerciante si è tolto la vita perché, oltre ai tanti gravosi problemi che chi lavora in proprio oggi deve affrontare a causa della pesantissima situazione economica dalla quale la nostra classe politica e dirigenziale non pare per nulla in grado di sollevarci, ha visto traboccare il vaso della sua tolleranza dopo un’ispezione da parte dell’Ufficio del Lavoro che l’ha multato perché la moglie (non un lavorante a nero, non una schiera di cinesini) lo aiutava nelle mansioni della sua attività pur non essendo iscritta a libro paga, scrive ai suoi ispettori.
Il Ministro, nella lettera aperta del 7 marzo scorso, si preoccupa dell’incolumità dei propri sottoposti per il  clima di aggressione e di intimidazione nei confronti degli ispettori del lavoro individuati come responsabili dell’accaduto”. Esprime solidarietà agli ispettori, il Ministro, si preoccupa perché essi possano continuare a svolgere serenamente il loro delicato incarico. Classifica il dramma di Casalnuovo come “un dramma umano che merita, prima di tutto, grande rispetto e pietà”.
Si guarda bene, però, il ministro, di  analizzare ogni aspetto della questione. Si guarda bene, il ministro, di verificare se non si siano travalicati i limiti del rispetto umano e dell’opportunità dell’azione ispettiva. Si guarda bene, il nostro nuovo ministro del lavoro del governo Renzi, quel governo che dovrebbe cambiare l’Italia, di prender in mano la normativa vigente e capire dove si possa intervenire perché questo sentimento avverso allo Stato, questo senso di vessazione che il contribuente sente sempre più forte tanto da non poterne più e giungere alle più estreme conseguenze, e porvi le opportune modifiche. Si guarda bene, il ministro, di adottare misure tali che portino l’azione degli ispettori ad una maggiore umanità, comprensione, elasticità nei confronti di chi sostanzialmente rispetta le norme e, magari, inasprire azioni di controllo e repressione verso quelle attività effettivamente dannose per lo Stato e la collettività come il reale lavoro nero, come i tanti laboratori cinesi che nessuno controlla o le stesse imprese italiane che violano sistematicamente ogni norma e che tanto diffuse sono proprio nella zona di Napoli.
Poletti si preoccupa degli ispettori. Gli ispettori, dal canto loro, si preoccupano per loro stessi denunciando organi di informazione, come in una missiva inviata dagli Ispettori del Lavoro della DTL di Rovigo il giorno 6 marzo a tutti gli organi competenti, ivi compreso lo stesso ministro. Nessuno, però, si preoccupa degli Italiani che non ce la fanno più. Poletti, esponente del “governo del cambiamento”, per ora non cambia nulla.

Luca Craia

lunedì 10 marzo 2014

I candidati si spartono le manifestazioni



Davvero curiosa la distribuzione delle forze politiche in campo per le elezioni amministrative ieri a Montegranaro. Essendovi due manifestazioni più o meno concomitanti, il Carneval Street in centro e il concerto del Duo Raimondi Mazzoccante a chiusura della stagione 2013/14 degli Amici della Musica all’Officina delle Arti (tra l’altro stupendo), i candidati e le loro squadre hanno ovviamente colto l’occasione per incontrare gli elettori oltre che, magari, per divertirsi un po’. Singolare, però, il fatto che tutta la squadra di Gismondi abbia praticamente occupato il Carnevale, tra frizzi, lazzi e cotillon, mentre quella della Mancini era al concerto. Praticamente nessuna contaminazione, tutti qua e tutti là. La destra tra le maschere e la sinistra con la cultura. Che vorrà dire?

Luca Craia

domenica 9 marzo 2014

Abbassiamo i toni e facciamo partire gli insulti



È sconcertante come si dica una cosa e l’esatto contrario nel giro di pochi giorni. Una frase del tipo “un insegnante capeggia un gruppo di riciclati perdenti” non mi pare esattamente un modo per abbassare i toni. Né le battute sessiste su Miss Italia di Lucentini. Eppure in questi giorni lo stesso Gismondi aveva lamentato, dopo averli alzati lui stesso, che i toni erano troppo alti (o grevi, se vogliamo) e che andavano abbassati. La lista dall’originalissimo nome “Gastone Gismondi Sindaco”, per bocca di uno dei personaggi storici del centro-destra montegranaresi, Nazzareno Di Chiara, non trova altro modo per controbattere alle accuse che gli vengono rivolte dall’avversario principale, la Lista Stranamore che, ad oggi, sembra accreditata delle maggiori possibilità di successo in questa tornata elettorale. Se a parlare di riciclati, poi, sono personaggi che occupano la scena politica cittadina da almeno trent’anni, ogni commento diventa superfluo.

Luca Craia

sabato 8 marzo 2014

Buon Vicinato - I Racconti della Marca Bassa (Luca Craia)



Terè e Giuditta avevano abitato una di fronte all’altra per quasi quarant’anni. La prima era già lì quando Giuditta si sposò con Mario e andò a vivere in via Cavour, nella casa che era della zia zitella del marito, nel frattempo passata a miglior vita. Terè all’epoca era vedova di fresco, ancora giovane e considerabile una bella donna. Probabilmente fu per quello che Giuditta la prese subito in antipatia: bella, vedova e per niente timida. Mario era uomo di sangue e Giuditta lo sapeva. Così cominciò a crearsi delle storie in testa, tra suo marito e la dirimpettaia, che nella realtà probabilmente non erano mai accadute ma che venivano alimentate nella sua fantasia da qualche battutina maliziosa di Terè e dagli ammiccamenti malcelati di Mario. Fu così che cominciò una faida di piccoli dispetti che continuò per decenni e non cessò nemmeno quando Mario morì di infarto che era appena quarantenne.
Si parlavano, le due vicine. Si prestavano anche le cose: il sale, una cipolla, un pacco di farina. Sembravano perfettamente in regola con le regole del buon vicinato. Ma poi Giuditta buttava il sale nei vasi di fiori di Terè e Terè tirava la terra alle lenzuola stese di Giuditta. Terè insegnava al gatto a fare la pipì sul portone di Giuditta e Giuditta spazzava la strada e ammonticchiava lo sporco davanti a quello di Terè. E così via discorrendo conducevano una minuscola guerra di dispetti e di nervi che l’osservatore attento poteva percepire nonostante i sorrisi e le gentilezze di facciata tra le due. Non si arrivò mai a fatti più seri, solo piccole ripicche e poco più. Giuditta pensò più volte di avvelenare il gatto di Terè ma mai ebbe il coraggio di farlo, così come Terè sognava di dar fuoco alla casa di Giuditta con Giuditta dentro ma era soltanto un suo gioco mentale. 
E un gioco mentale faceva spesso, ultimamente, Giuditta prima di dormire: immaginava ogni sera un modo nuovo di ammazzare la vicina. Era solo un gioco, un balocco per il cervello, un sistema per prendere sonno. Ma i piani che sera dopo sera organizzava con la testa appoggiata sul cuscino erano dettagliati e precisi. E sempre molto crudeli. La faceva soffrire prima di morire la povera Terè. La legava e torturava. La faceva cadere in buche profonde. La chiudeva in una stanza e appiccava il fuoco. Aveva una gran fantasia nello sceneggiare per suo uso e consumo l’omicidio della dirimpettaia. E questo la rilassava parecchio. Faceva dei bei sonni dopo. Finchè non capitò che, un mattino, scoprì che Terè era morta sul serio.
Terè era morta di morte naturale. Non l’aveva certo ammazzata lei. Giuditta era abilissima nel fantasticare di omicidi ma non sarebbe mai stata capace di organizzarne uno vero. Ciononostante fin da subito, da quando si accorse del viavai in casa di Terè e chiese lumi ad un parente della stessa mentre usciva dalla porta di casa, un nipote che la morta era riuscita ad avvertire per telefono pochi istanti prima di tirare le cuoia, cominciò a montarle dentro un cupo senso di colpa. Immotivato, si intende. Giuditta non aveva torto un capello alla morta. Ma il fatto che per mesi aveva fantasticato sulla sua morte ora la turbava non poco.
Non pianse, Giuditta, per la morte di Terè. Ma andò al funerale e all’accompagno e assistette alla tumulazione finchè la bara non fu ben murata nel fornetto. Ciò però non servì a placare l’angoscia che provava. E quella notte non riuscì a dormire. Come chiudeva gli occhi vedeva il volto della vicina, un volto scuro, arrabbiato. E per casa sentiva rumori ovattati di ogni tipo.
La notte successiva non andò affatto meglio. Era inquieta più che mai e sentiva cigolii, scalpiccii, e un fastidioso grattare contro non sapeva bene che cosa. Il mattino dopo andò dal medico e gli chiese qualcosa per dormire. Il medico non era affatto propenso a darle tranquillanti, ma le prescrisse un blando calmante.
Giuditta lo prese prima di coricarsi e si addormentò dopo pochi minuti, vuoi per via del farmaco, vuoi perché non dormiva da due notti, vuoi perché anche l’effetto psicologico in questi casi conta. Ma si svegliò verso le quattro. E sentii grattare. Sotto il letto. Sentì nettissimo il rumore di unghie che grattavano il materasso. E ne sentì anche la pressione sotto la schiena. Rimase gelata, tanto da non essere capace di muoversi né di fare un fiato. Il rumore e la pressione cessarono dopo pochi minuti ma lei rimase immobile e con gli occhi sbarrati fino alla mattina.
La luce del sole la tranquillizzò e la convinse che quello era stato solo un sogno molto vivido, forse causato dallo stress e dall’effetto del farmaco. Decise che la notte successiva avrebbe fatto a meno delle gocce prescritte dal medico. Passò una giornata normale, fece spesa, pulì la casa, si occupò dei fiori, ma sempre con un senso di terrore latente che non le dava pace. La sera, quando si coricò, si ripropose che, se avesse di nuovo avvertito qualcosa di strano sotto il letto, si sarebbe fatta coraggio, avrebbe acceso la luce, sarebbe scesa dal letto e ci avrebbe guardato sotto.
Non dormì fino alle quattro, ma passò dalla veglia al dormiveglia di continuo. Alle quattro in punto – le segnava la radiosveglia – sentì grattare sotto il letto. Di primo acchito restò impietrita, ma si ricordò dei suoi propositi e accese la luce. Il grattare cessò. Scese dal letto con poca convinzione, si mise sulle ginocchia e guardò sotto il letto. Un’ombra sgusciò via veloce dalla parte opposta ma Giuditta fece bene in tempo a vedere cosa fosse: era il gatto di Terè. Come fosse entrato in casa non riusciva a capirlo né capiva dove fosse fuggito. Quando si fu ripresa dallo spavento cercò dappertutto ma della bestia non c’era traccia. La cosa la inquietò e tranquillizzò allo stesso tempo: anche se la presenza del gatto era strana e piuttosto spaventosa era pur sempre una spiegazione razionale a quello che aveva sentito e, quantomeno, escludeva robe di fantasmi e simili.
La notte successiva andò a dormire un po’ più rilassata ma con l’intento di acchiappare il gatto se si fosse ripresentato a disturbarle il sonno. Fu così che alle quattro in punto fu svegliata dall’ormai consueto grattare sotto il materasso. Non si scompose più di tanto e non accese la luce: voleva beccare il gatto e magari farlo fuori. Scese dal letto piano piano, si mise in ginocchio e si affacciò sotto il letto. Vide un’ombra, ma piuttosto grossa, non sembrava un gatto. Senza perdere di vista la sagoma allungò all’indietro un braccio per accendere la luce e, quando la lampadina illuminò parzialmente lo spazio tra il letto e il pavimento, vide il ghigno divertito di Terè che, contemporaneamente all’accensione della luce le gridò: “Cucù!”.
La trovarono dopo tre giorni, stesa accanto al letto. La trovarono perché la nipote la cercava. La trovarono con gli occhi aperti e un’espressione di terrore in volto. Ictus, dissero. La tumularono in un fornetto di fronte a quello di Terè.

Partito il restauro del Crocifisso di Sant’Ugo



È stato consegnato stamattina nelle mani di Marco Salusti il Crocifisso di Sant’Ugo. Il restauratore procederà al suo recupero totale ed è molto ottimista sul risultato: riusciremo a riportarlo all’antico splendore. Il restauro è approvato dal MIBAC e dalla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici delle Marche di Urbino ed è interamente finanziato da Arkeo tramite libere donazioni dei soci e le offerte raccolte durante le visite turistiche. Il Crocifisso ligneo è databile al secolo XVI ed è di preziosissima fattura, policromo, anche se l’incarnato è stato successivamente coperto da una tintura bronzea, e con la croce decorata a foglia d’oro. L’incarnato dovrebbe tornare al suo aspetto originale ed è anche presumibile che la croce, nonostante la perdita di porzioni di doratura, possa essere recuperata in maniera più che soddisfacente. I lavori dovrebbero terminare per fine maggio, quando organizzeremo una manifestazione per la ricollocazione del Crocifisso al suo posto.

Luca Craia