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lunedì 20 ottobre 2014

Riflessioni sul suicidio di Gianluca Ciferri.



Provo una gran pena per i figli di Ciferri, per la moglie, la sua famiglia. Così come provo una gran pena per le famiglie delle sue vittime. I bambini sono coloro che pagano a maggior prezzo tutta questa bruttissima storia. Una storia che vale solo ventimila euro, una storia di sangue che fa riflettere.
C’è molto da riflettere: sul grado di violenza che nostra civiltà ha raggiunto, sulla leggerezza con cui si minaccia, anche a ragione, un’altra persona, sulla facilità con cui si preme il grilletto ripetutamente e si uccide. C’è da riflettere sui fattori economici che hanno portato a questa tragedia, sulla miseria dei due operai costretti quasi a mendicare quello che spettava loro di diritto, sulla miseria stessa di un imprenditore che non riesce a mantenere i suoi impegni.
C’è da riflettere sulle reazioni della gente, di tutti noi, che ci siamo divisi tra sostenitori dell’omicida e tifosi delle vittime, sulla strumentalizzazione vomitevole che si è fatta della storia, su chi ha gridato l’ormai trita, ritrita, stucchevole litania del “dagli allo straniero” che ha sempre torto anche solo per il fatto di essere straniero e chi ha addirittura organizzato fiaccolate per condannare, prima dei giudici, lo sparatore.
Siamo una società partigiana, che deve sempre schierarsi da una parte o dall’altra. Una società di tifosi, sempre pronti con i nostri striscioni pro o contro, pronti a sventolare la bandiera che ci siamo scelti per ideologia, cultura, comodo o semplice superficialità. E lo facciamo con violenza, molto spesso soltanto verbale, ma che non è così diversa da quella di chi spara o brandisce un piccone.
Ora, di fronte al terzo morto di questa bruttissima storia, spero che si ripongano i vessilli e ci si fermi un po’ a riflettere, magari pensando a quelle famiglie distrutte, a quei bambini che non hanno più un padre, a quelle mogli rimaste sole. E si pensi a quanta violenza abbiamo in corpo, che manifestiamo in tante piccole situazioni, pronti a condannare l’altro, a fargli male solo perché, magari, sventola una bandiera diversa dalla nostra.

Luca Craia