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mercoledì 8 giugno 2016

Cesarina e gli Ebrei

Pubblico un video girato in maniera improvvisata durante le esplorazioni degli ipogei montegranaresi nel 2014. Esplorando i sotterranei di casa Pantanetti, accompagnati dalla magnifica Vera, quest’ultima si lasciò andare a questo interessantissimo racconto della guerra che vi invito ad ascoltare con attenzione, considerando che il nostro dialetto montegranarese, tutto sommato, è comprensibile anche a chi non lo parla.

Luca Craia

martedì 12 aprile 2016

L’apocalisse europea per l’immigrazione



Sono scene che, qualche anno fa, non avremmo mai pensato di dover vedere. Ricordo come sognavamo tutti un mondo migliore quando cadde anche il Muro di Berlino. Ricordo come speravamo convintamente in un’Europa senza confini, dove potevamo circolare come cittadini del mondo, dove eravamo padroni del nostro destino, del futuro, dove non dovevamo temere nulla perché non c’era più nulla di cui temere.
La fine della guerra fredda ci ha dato l’illusione di entrare in un’era di pace e prosperità, salvo poi accorgerci che la fine della tensione tra i grandi blocchi aveva generato tanti piccoli conflitti e che, se la tensione tra i grandi era sostanzialmente stabile, questo nuovo fermento di violenza non era in alcun modo controllabile. Poi c’è stata New York e una lunghissima serie di errori di politica internazionale, generati da incompetenza, idealismo privo di razionalità e disonestà. Abbiamo visto un’occidente sbagliare tutto e disgregare ogni forma di status quo nei paesi arabi, con le conseguenze che oggi vediamo: esodi di popoli interi in fuga dalla guerra e quella parte del mondo, che in qualche modo quella guerra ha propiziato, inerme, incapace di porre rimedio.
Ed eccole le scene che qualche anno fa non avremmo mai pensato di dover vedere: erigere muri nel cuore dell’Europa, ripristinare le frontiere, filo spinato, soldati armati per fronteggiare l’invasione di profughi che la politica scriteriata dei nostri governanti ha generato. Legittimamente gli Europei sono spaventati da questo esodo che rischia di scardinare la nostra civiltà e la nostra cultura. E c’è solo un modo per arginare il fenomeno: l’istituzione di corridoi umanitari gestiti direttamente e razionalmente dagli Stati interessati dall’esodo. Ma per far questo bisogna essere solidali, bisogna rinunciare al privilegia di essere su una linea arretrata rispetto al fronte di esodo. E soprattutto bisogna evitare le speculazioni di chi, in tutto questo scempio di umanità, ci lucra e ingrassa. Impossibile per questa classe dirigente inetta e disonesta.
Vedere erigere un muro sul Brennero è raccapricciante, nemmeno il più crudo romanzo futuristico lo avrebbe potuto immaginare con tanta truculenza. Eppure eccolo là, lo stanno davvero facendo.  Quello non è solo un muro per tenere fuori i profughi, non è solo un modo, se vogliamo, legittimo di tutelare i propri cittadini e la loro qualità della vita: quello è il monumento, il simbolo estremo del fallimento dell’idea di Europa.

Luca Craia

martedì 6 ottobre 2015

Siria polveriera, nel silenzio dei media



Si parla davvero poco della situazione in Siria. I telegiornali mettono la notizia dopo quelle di regime che leccano i piedi a Renzi e dopo quelle sul Papa. I giornali cartacei non fanno molto meglio. Anche sui social sembra che la questione interessi poco i tanti commentatori ed esperti di politica. Eppure si sta delineando un contesto estremamente complesso e, direi, potenzialmente molto pericoloso. La Russia ha già iniziato a mettere in atto la sua strategia, rispondendo ufficialmente alla richiesta di aiuto di Assad ma approfittando per mettere per prima in atto un’azione politica e militare nell’area, il che potrebbe portare a una posizione di vantaggio. Anche la Francia a tentato di giocare la carta dell’intervento anticipato rispetto alla Nato ma, sicuramente, rientrerà nei ranghi non appena il colosso americano deciderà il da farsi, almeno in via ufficiale. E poi c’è la Nato che arriverà senz’altro alla decisione di intervenire per non rimanere indietro, costretta, sostanzialmente, dalle decisioni interventistiche della altre due parti.
Ovviamente tutto questo movimento politico e militare ha dei motivi che non risiedono certo nell’interesse per Assad o per questo e quella causa. Ricordiamo che la Siria, al contrario di tanti altri Stati mondiali in guerra o sotto l’assalto degli integralisti islamici, possiede ingenti giacimenti petroliferi, il che la fa diventare di grande interesse per le potenze mondiali. Ed è proprio questo interesse a essere pericoloso perché l’intervento militare non coordinato (e non potrebbe mai esserlo, nell’impossibilità di concordare un’azione che veda o Russia o Usa sottoposta al controllo dell’altra) espone le parti in lizza e non solo al rischio di incidenti militari e diplomatici.
Gli interessi in gioco in Siria sono molteplici, vanno dal petrolio al controllo di una vasta area in mezzo alla polveriera mediorientale, passando per la possibilità turca di far fuori la questione curda. I rischi che la situazione degeneri sono reali e forti. Per quanto non sia nell’interesse di nessuno esasperare le posizione, è comunque difficile evitare reazioni in caso di incidenti o provocazioni, volontarie o involontarie. In tutto questo possiamo inserire il terrorismo islamico organizzato, perfettamente in grado di lavorare anche di intelligence e studiare azioni di disturbo al fine di creare incidenti. Una situazione delicatissima di cui l’informazione ufficiale non si occupa. Chissà perché.

Luca Craia

giovedì 5 marzo 2015

Gli USA alla conquista del mondo



Gli Americani sono sempre intervenuti all’estero per risolvere, coadiuvare, innescare situazioni che potessero andare a loro favore. Ma mai come oggi lo fanno sfacciatamente. È così evidente la loro strategia di destabilizzazione di vaste aree mondiali da sembrare grottesca, non fosse per le modalità ignobili, le finalità immorali e le conseguenze nefaste che ricadono già ora sulle nostre povere teste. Credo che sia chiaro come gli USA intendano creare una nuova contrapposizione di forze contro il nuovo nemico, che non è più l’Unione Sovietica o Russia che dir si voglia, ma la Cina. Per far questo ha innescato una crisi economica mondiale mai vista prima, impoverendo tre quarti del mondo, facendo inginocchiare tutta l’Europa compresa quella Germania che fa la voce grossa ma è solo serva dei voleri americani, destabilizzando l’area mediterranea, indebolendo economicamente e politicamente la Russia sia tramite attacchi speculativi sul prezzo di gas e petrolio sia con strategie geopolitiche come la guerra civile in Ucraina.
Il minimo della strategia - o dell’accortezza, se preferite – lo abbiamo visto con l’omicidio di Boris Nemtsov. Nessuno lo ha detto apertamente ma tutti abbiamo pensato che dietro ci fosse la mano di Putin. Lo abbiamo pensato perché così era stato programmato. Ma il pensiero, per chi ne è capace, è andato oltre. Chi è capace di pensare, infatti, in maniera molto semplice si è chiesto perché Putin dovrebbe far ammazzare un oppositore minore e poco preoccupante come Nemtsov, perché dovrebbe farlo in maniera così plateale e, soprattutto, chi trarrebbe maggior giovamento da questo omicidio. Le altre domande non hanno una risposta, l’ultima sì, ma mi limiterò ad affermare quello che a me pare chiaro: l’ultimo ad avere vantaggio dalla morte di Nemtsov è proprio Putin che, invece, ne è stato gravemente danneggiato.
Ora, dopo aver trasformato il medioriente e il sud del mediterraneo in una polveriera e dopo aver impoverito gli alleati della NATO riducendoli a una colonia, ora possiamo aspettarci altre misure per abbattere l’ex grande nemico russo e, così, accerchiare la zona di influenza cinese. Solo che coi Russi si scherza poco.

Luca Craia

mercoledì 17 dicembre 2014

War is over? No, è solo un altro tipo di guerra.




Oggi, 16 dicembre 2014) sono 45 anni da quando John Lennon e Yoko Ono fecero uscire il singolo Happy Xmas (War is over), canzone che negli anni è stata inflazionata da pubblicità e cover inappropriate ma che, leggendo bene il testo, rimane uno degli inni alla vita e all’amore più potenti mai scritti da un uomo. Il testo è ancora, purtroppo attualissimo, perché la guerra non ha mai lasciato il pianeta e, come ben sappiamo, con la caduta della cortina di ferro e la fine della cosiddetta guerra fredda in realtà anziché assistere a un processo globale di pacificazione ci siamo trovati in un mondo sempre più belligerante, con conflitti disseminati in ogni angolo della terra.
C’è un nuovo modo di fare la guerra, oggi. È un modo che non sostituisce quello tradizionale condotto con bombardamenti e pallottole perché questo è necessario per mantenere in vita un’economia basata sulla proliferazione delle armi, economia che non ha mai cessato di prosperare. Questo nuovo modo non spara ma uccide ugualmente. Non sparge sangue e non abbatte case con le armi ma lo fa con la povertà indotta. Oggi la guerra si fa con l’economia.
La politica espansionistica degli Stati Uniti non ha mai smesso di cercare di conquistare nuove posizioni geopoliticamente strategiche. Solo che una volta la strategia prevedeva l’installazione di armamenti e il controllo politico dei governi. Oggi non basta più, oggi serve il possesso materiale dei Paesi. Per farlo l’unica strada è farli morire di povertà. È quello che sta accadendo in Grecia, è quello che sta accadendo nel sud del Mediterraneo, è quello che sta piano piano accadendo in Europa.
Non è, quindi, come si paventa da tempo, una sorta di complotto globale economico a portare a questa nuova impostazione del globo ma una strategia geopolitica di conquista condotta dagli USA e contrastata con armi impari dalla Russia. Tutto per fronteggiare lo strapotere orientale della Cina che già da anni sta conquistando parte del mondo con l’arma economica. L’unione dei Paese europei poteva essere lo strumento di difesa per questo attacco alla nostra libertà ma è miseramente fallito perché, evidentemente, si è riusciti a pilotare la stessa costituzione di un fronte unito dei Paese europei facendo naufragare miseramente il progetto di unione iniziale. Politici corrotti e incapaci hanno fatto il resto.
La guerra, quindi, anche per questo Natale non è affatto finita, anzi, forse è appena cominciata. Francamente non vedo grandi speranze di salvezza tranne la rassegnata speranza che tutto duri poco e che, una volta sacrificata la nostra libertà, si possa almeno tornare a condurre un’esistenza dignitosa se non per la mia generazione ma almeno per quella dei miei figli. Ciò non vuole comunque dire che io mi arrenda, tutt’altro.

Luca Craia

domenica 10 agosto 2014

Palestina. Io sto con la vita. La stampa ha la colpa maggiore.



Ho cercato in ogni modo di non parlare della questione “Gaza” perché la ritengo talmente complessa che non la si possa trattare nel ristrettissimo spazio che la comunicazione via web ci consente. Stasera, però, ho avuto la sventura di assistere al Tg2 che, in rapida sequenza e senza apparente logica, ha trasmesso un servizio che piangeva stile mariadefilippi i bambini morti palestinesi, giustamente, perché i bambini sono solo da piangere in questi casi, e subito dopo si indignava per le scritte antisemite comparse a Roma.
Allora capiamoci, perché bisogna cercare di capire, nonostante non abbia io la pretesa di capire né di far capire. La questione palestinese è vecchia come il mio compianto nonno. Nel frattempo sono accadute tante cose. Per esempio è accaduto che i Palestinesi abbiano preferito perorare la loro causa, perfettamente legittima e condivisibilissima, anziché su un piano diplomatico, politico, sociale, su quello militare, dichiarando guerra a quello Stato che allora era ancora illegittimo e che si chiamava Israele. Dichiarare guerra a uno Stato illegittimo equivale a legittimarne l’esistenza. Quando poi la guerra la si perde in sei giorni, portandosi dietro nella sconfitta mezzo medio-oriente, è tutto un dire su quali siano i progetti politici di questa gente.
Da quel momento Israele ha cominciato a essere Stato legittimo, perché attaccato, perché difesosi, perché ha dimostrato al mondo di avere le carte in regola per esistere. I Palestinesi, al contrario, hanno dimostrato, a partire da allora, di essere solo dei guerrafondai, con tutte le ragioni del mondo dalla loro parte, ma adusi alla violenza e, in quanto tali, non assimilabili a qualsiasi tipo di interlocuzione. Del resto la scena del compianto (purtroppo, perchè poi è venuto ben peggio) Arafat con la pistola all’Onu è, o dovrebbe essere, ben presente nella mente di chiunque si permetta di parlare della questione.
I Palestinesi avevano ragione. Avevano. Gli Ebrei hanno rubato, pagato invero ma a quattro soldi, le loro terre e ci hanno impiantato un nuovo Stato col placet del mondo semplicemente perché gli Ebrei avevano i soldi e poi erano reduci dall’olocausto. Ma sono stati abilissimi, i Palestinesi, a passare dalla ragione al torto, con decenni di terrorismo in terra di Palestina e internazionale. Gli episodi li tralascio, stanno sui libri di storia. Nel frattempo hanno continuato ad attaccare militarmente e terroristicamente Israele che, sia per aver vinto la guerra che per una sorta di usucapione storica, ormai ha tutto il diritto di esistere.
Faccio una parentesi umana. Immaginate di essere un pacifico ebreo tedesco o italiano, scappato dal genocidio nazista. Immaginate di avere fondato la vostra vita in uno Stato che vi prometteva la Terra Promessa. Immaginate di venire quotidianamente bersagliato da missili (miccette, se vogliamo, che se vi pigliano in testa vi ammazzano) da parte dei Palestinesi. Immaginate di prendere un autobus con la paura di saltare in aria per un attentato. Immaginate di temere per i vostri figli ogni giorno che vanno a scuola. Non sareste voi intransigenti nei confronti di chi rifiuta ogni dialogo, rifiuta ogni mediazione preferendo le armi? Poi, si sa, gli ebrei hanno i soldi, e con i soldi si comprano le armi. Somiglia alla storia del cagnolino rompicoglioni che gira intorno al cane grosso legato alla catena. Se si scatena il cane grosso lo frantuma.
In sostanza la ragione sta in mezzo, come sempre. Da una parte un popolo privato della sua terra ma che la sua terra non l’ha mai posseduta davvero, dall’altra un altro popolo che ha subito di tutto, che ha potenziale economico e che lo spende per crearsi una patria, calpestando gli altri in nome del calpestio subito nei secoli. Il problema è che i Palestinesi hanno scelto, democraticamente (forse) Hamas. E Hamas non fa politica, spara. E se spari in risposta non puoi aspettarti che spari di reazione. E se gli spari di reazioni vengono da un cane più grosso, ma tanto, più di te, che pensi di ottenere? Allora sposti i civili in modo che vengano colpiti. Cerchi il vittimismo, Ti fai uno scudo del sangue dei tuoi.
Il giornalismo internazionale è colpevole. È colpevole di antisemitismo, di razzismo, dei morti che non si fermano. Perché basterebbe ragionare e far ragionare. Israele ha torto ma, dopo settantanni, ormai ha ragione.  C’è una via di mezzo che si chiama negoziato, che non può passare per i tunnel per fare gli attentati, per i razzi quotidiani, per i kamikaze islamici imbottiti di tritolo,  per le tregue unilaterali non rispettate a caccia di altro sangue per piangere le proprie vittime. I bambini morti li hanno ammazzati in due: Israele e Hamas. Se non capiamo questo non se ne esce, e la colpa, fondamentalmente, è della stampa che poi si indigna per i manifesti antisemiti di Roma che hanno generto loro, giornalisti fasulli.

Luca Craia

lunedì 16 giugno 2014

Ucraina: guerra tra economie. E muoiono gli innocenti



C’è l’economia russa, basata su rapporti mafiosi, equilibri di potere fondati su meccanismi che ancora si riferiscono all’antica Unione Sovietica, traffici la cui liceità  è quasi indimostrabile, una potenza economica che sopravvive grazie ai muscoli e grazie al ricatto, specie quello fondato sulla fornitura di energia, di gas. C’è poi l’economia cosiddetta occidentale, quella della globalizzazione sfrenata, quella che decide della vita e della morte dei popoli – e delle persone – come se parlasse di quante pecore mandare al macello per Pasqua, quella che si inventa le guerre per rilanciare i mercati e ammazza dittatori solo per crearne di nuovi. In mezzo c’è un Paese che si chiama Ucraina, un paese che fa da unico sbocco al mare occidentale per la Russia, un Paese sul cui suolo passa tutto il gas che proviene da quest’ultima e alimenta l’Europa. Poi capita che l’Ucraina decide secondo la propria sovranità e scoppia il finimondo.
Un finimondo, però, di cui non si parla. Si, per carità, i nostri telegiornali ci vendono notizie preconfezionate, facendoci temere per il prossimo inverno, per il prezzo dell’energia che salirà, ci dipingono i filo-russi come criminali e glissano sui governativi ucraini che, invece, sono solo leggermente nazisti che utilizzano metodi nazisti. L’Ucraina ha deciso secondo diritto, se vogliamo, cosa fare sul proprio suolo. Ma non è così semplice. Non si può pensare che la Russia lasci stare una situazione che la porta a chiudersi dentro sul lato occidentale. Non si può nemmeno pensare che l’occidente non colga l’occasione per mettere lo zampino nel cuore dell’ex URSS.
Così scoppia una guerra, una guerra che sta mietendo vittime civili in numeri spaventosi, che sta producendo atrocità inimmaginabili ma che, a noi occidentali, non vengono raccontate. Come si risolve la questione? Col buon senso, senza calcolatrice, lasciando fuori i calcoli economici dal raziocinio della trattativa. Lo so che non si può: viviamo nel mondo che depone e fa impiccare Saddam Hussein raccontando fandonie su armi di distruzione di massa inesistenti, un mondo che fa trucidare Gheddafi e lascia cadere nella guerra civile tutto il Maghreb. Il nostro è un mondo che sta facendo i calcoli sul gas, non su quanti morti questa guerra idiota sta facendo, non su quanti bambini vengono ammazzati in nome delle due economie che si fronteggiano lungo il confine ucraino.

Luca Craia