giovedì 16 novembre 2017

Beni culturali ecclesiastici del terremoto: ora ci pensa il Miur. E poi?



Se per certi versi la risposta del sottosegretario al Miur, Vito De Filippo, data a un’interrogazione presentata dalla deputata marchigiana PD, Irene Manzi, è tranquillizzante, per altri crea innegabilmente qualche inquietudine. La Manzi aveva sollecitato un intervento del Mibact per la salvaguardia dei beni ecclesiastici trasferiti dalle loro sedi naturali a causa del sisma e collocate dalle diocesi in depositi spesso non corrispondenti ai minimi requisiti per una conservazione efficace e duratura. Una preoccupazione condivisibile, perché il rischio di perdere importanti tesori d’arte scampati al sisma a causa di una cattiva conservazione esiste ed è elevato.  Il sottosegretario afferma che l’Istituto Superiore di Conservazione e Restauro sta già lavorando in sinergia con gli uffici periferici del Mibact per la progettazione e l’installazione di scaffali, box e strumenti di controllo del microclima, per poter ricollocare i beni recuperati in una situazione di sicurezza controllata.
A parte la perplessità circa la capacità concreta di intervento degli uffici periferici, le soprintendenze regionali, già da tempo depauperate di uomini e risorse, le perplessità riguardano sia i tempi di intervento che, visti i mezzi in campo e la mole delle opere su cui intervenire, non possono essere certo brevi, sia il futuro di queste opere. Dovrebbe essere stabilito fin d’ora l’obbligo di ricollocazione adeguata, preferibilmente nel contesto originale o, comunque, in uno spazio adeguato e fruibile dal pubblico.
Le opere ecclesiastiche hanno la caratteristica di essere collocate nei luoghi originari, chiese e edifici sacri. Spesso non sono fruibili perché i luoghi di conservazione sono chiusi, non sono organizzati per accogliere visitatori, e la loro fruizione è preclusa al pubblico. Il recupero di queste opere dovrebbe prevedere anche la loro futura fruibilità in modo tale da farle diventare esse stesse volano di quella ripresa economica che, nelle zone terremotate, passa necessariamente attraverso il turismo naturalistico e culturale.
Per questo motivo è necessario che, nell’opportunità per i ministeri competenti di intervenire per salvaguardare la conservazione delle opere, si preveda fin d’ora quale debba essere il loro futuro, che certamente non può essere quello di una esposizione in chiese e palazzi chiusi al pubblico e tantomeno nella consueta catalogazione dei musei statali che conserva un enorme patrimonio culturale stivato in casse nei depositi.

Luca Craia

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