“Un
paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire
non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa
di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti” dice Cesare Pavese in La Luna e i Falò. La
rileggo e penso a Pescara del Tronto. Da Pescara non puoi più andartene, perché
Pescara non c’è più. A Pescara non puoi che essere solo perché a Pescara non c’è
più nessuno, nemmeno tu. Non ti aspetta più nessuno, a Pescara.
Pescara non si può più ricostruire, sarebbe
inutile, verrebbe giù di nuovo. Non si può più tornare in quel paese, il paese
non c’è più e non ci sarà mai più. Ma non c’era già più da quel 24 agosto,
quando la gente è stata dispersa in camping, hotel, residence, quando la
comunità è stata disgregata ed è scorsa via tra mille rivoli. È quello che è
accaduto in tanti piccoli borghi colpiti dal sisma: il paese è stato distrutto,
prima dal terremoto, e poi da decisioni sbagliate che hanno sbriciolato i
tessuti sociali.
Perché un paese non è soltanto fatto di
case, è una cosa molto più complessa, fatta di relazioni umane, amicizie,
parentele, simpatie e antipatie, collaborazioni, intese, incontri, scontri, odi
e amori. Le case, se non le puoi ricostruire dov’erano, le puoi fare altrove,
più a valle, più a monte, un po’ più in qua o un po’ più in là. La comunità,
quando l’hai distrutta, non la ricostruisci più.
Luca Craia
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