Il Comitato 5 Luglio, nato lo
scorso anno dopo i brutti fatti di Fermo in cui perse la vita un uomo in una
lite a sfondo razzista, è una delle diverse figure che, grazie all’accaduto, ha
creato o ha cercato di crearsi o incrementare una visibilità inaspettata. A
parte don Vinicio, che è stato il primo e il più bravo a cavalcare l’onda e ad
approfittare della situazione noncurante di Fermo e dei Fermani, della loro
reputazione e della loro moralità, il Comitato 5 Luglio si è posto, in maniera
del tutto illogica, a difesa di non si sa quali diritti calpestati fin da
subito, scrivendo comunicati, organizzando manifestazioni per pochi intimi,
menando fendenti verbali a destra e manca con una violenza, per fortuna
soltanto verbale, stupefacente per dei sedicenti pacifisti tolleranti
progressisti.
Il gran baccano suscitato dal Comitato,
che fa eco a quello più forte di don Vinicio che, però, nel frattempo si è
acquietato, forse vedendo il pessimo risultato della sua politica, almeno a
livello mediatico, non è suffragato dai fatti. I nostri progressisti
integralisti, infatti, fondano tutto il loro arrabattarsi per farsi spazio sui
giornali sulla questione del razzismo di cui Fermo e i Fermani sarebbero
accusati. Se non che, il razzismo, seppure sia presente in questa vicenda, è solo
quello del colpevole Mancini, un razzismo di basso livello, da bettola, senza
alcun supporto ideologico e senza nessuna radicalizzazione. Punito Mancini, la
questione dovrebbe essere risolta.
Invece no. Tornano alla carica, a
quasi un anno di distanza, con il tentativo di organizzare una giornata a
ricordo del fattaccio. Fin qui ci starebbe pure, alla fine ricordare un brutto
episodio può anche giovare e contribuire a impedirne il ripetersi. Ma la
reiterazione delle accuse di razzismo verso Fermo lascia di stucco: “vogliamo che Fermo torni ad esprimere il suo carattere dialogante ed
aperto” dicono nel
testo che accompagna un documento programmatico per la manifestazione. E la
domanda che viene da sé è: quando lo avrebbe perso, Fermo, il suo carattere
dialogante e aperto?
Poi il documento, in più parti stupefacente.
La figura del richiedente asilo sarebbe stata “vilipesa da una
ignobile campagna xenofoba”. E da chi? Dai Fermani? L’unica campagna che io ricordi era proprio
quella a senso unico e priva di ogni ragione di esistere che accusava Fermo di
razzismo, cosa del tutto inventata a proprio uso e consumo.
Poi l’accusa ai giudici, con un
esito processuale che sarebbe stato “l’espressione di quello spirito di ‘riconciliazione’
la cui oggettiva ambiguità non ha aiutato a fare i conti con la gravità di
quanto successo e con le sue cause profonde”, come sei i giudici dovessero giudicare non sulla base
della giurisprudenza e delle prove specifiche ma ragionando su opportunità
politiche e ideologiche. Una grave accusa a un potere dello Stato fatta da
personaggi che si definiscono democratici.
Siamo tutti colpevoli, secondo il
Comitato, perché succubi della” prepotente diffusione di politiche reazionarie
e di ossessioni identitarie, l’imbarbarimento etico che alimenta la “zona
grigia” di una società sempre più indifferente alla sorte di milioni di persone”.
Accuse generalizzate, immotivate e ingiuste. Cosa vogliono questi personaggi?
Io ho provato a ragionarci, a capire
il loro pensiero e a illustrare il mio. Sono stato minacciato di querela e
cacciato dalla conversazione virtuale sul profilo Facebook di un noto esponente
Fermano. La democrazia non è il punto forte di questi sedicenti democratici,
così come il garantismo funziona solo quando a essere garantito c’è qualcuno
che sia di loro gradimento. Mancini, per esempio, garanzie non ne meriterebbe.
Tanto meno i Fermani.
Luca Craia
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