sabato 18 luglio 2015

Crocetta e la violenza dei nuovi media



Riflettevo sul caso Crocetta, un personaggio che non mi è mai piaciuto né politicamente né moralmente, ma che oggi mi ispira solidarietà perché, secondo me, è vittima non tanto di un complotto mafioso che lo vuole uccidere politicamente, come qualcuno ha ipotizzato, ma di un sempre più diffuso atteggiamento nei confronti della comunicazione.
Oggi abbiamo a disposizione dei mezzi formidabili per poter esprimerci e, soprattutto, comunicare il nostro pensiero. I social network ci offrono la possibilità, totalmente nuova, di poter scrivere e diffondere le nostre idee su qualsiasi argomento, dopodiché queste assumono una vita propria e viaggiano, a volte sparendo nel nulla, altre ingigantendosi e acquistando forza. È uno strumento potente e pericoloso. Ultimamente Umberto Eco si è occupato dell’argomento soffermandosi, però, sull’aspetto legato alla qualità dei messaggi che possono circolare. Io vorrei, senza ambizione alcuna di paragonarmi al dotto letterato, posare l’attenzione sul lato psicologico.
Di stress è inutile che parli, tutti sappiamo quanto ne siamo vittime e quanto questo crei in noi stati d’ansia, depressioni, frustrazioni e, talvolta, piccole o grandi psicopatologie. Dalle cronache vediamo una società che diventa violenta, vediamo esplosioni di rabbia incontrollate e pericolose manifestarsi anche in persone che mai avremmo creduto capaci di tanto. La violenza fisica, quindi, sta diventando un fatto quasi abituale, anche se, per ora, limitato a casi particolari, per quanto frequenti. Ma questa violenza deriva, credo, dalla compressione dello stress, delle ansie e delle frustrazioni quotidiane che, improvvisamente, trovano un varco e sfogano.
Nei social network accade la stessa cosa e, non essendoci la limitazione data dall’uso della fisicità che, spesso, diventa la barriera che ci mantiene lucidi nel rapporto tra persone nella vita reale, nel mondo virtuale tutta la rabbia incamerata trova facile sfogo non limitata dalle inibizioni fisiche. E, molto spesso, questa si convoglia automaticamente e con maggior facilità verso persone più in vista delle altre, che magari dicono qualcosa di fastidioso o compiono gesti che ci disturbano. Così esplode la reazione che è sempre estremamente sproporzionata, illogica e, soprattutto, violenta. C’è l’istinto a fare male che trova tutta la libertà di esprimersi nell’inconscia quanto errata certezza che il non poter nuocere fisicamente causi meno dolore.
Crocetta è una vittima di queste esplosioni di violenza sproporzionate e illogiche. Ma non è il solo. Chiunque abbia un minimo di visibilità mediatica è vittima di questi sfoghi. Io lo so bene pur essendo la mia visibilità infinitamente più piccola di quella alla quale mi sto paragonando. Eppure, se leggete certi commenti su alcuni post del blog o sulla pagina Facebook, vi potete rendere conto di come funzionino certi meccanismi. Pochi giorni fa ho pubblicato lo sproloquio di una persona che si è liberata probabilmente di tutte le sue frustrazioni vomitando addosso a me quintali di veleno. Ma non è il primo e non sarà l’ultimo.
E torniamo, per chiudere, a Crocetta. Sono convinto che non si possa giudicare una persona non perché ha detto qualcosa ma perché non l’ha detta. Sono convinto che il caso parli di niente. Sono convinto che Crocetta stia facendo da antistress per un manipolo di esagitati che cercano uno sfogo. Non c’è rimedio a questo, perché non si possono mettere bavagli alla comunicazione. Possiamo solo cercare di controllarci. Possiamo magari evitare di unirci ai cori quando non abbiamo nemmeno capito di cosa si parla. Ma di Crocetta ce ne saranno sempre di più perché di psicotici in cerca di conforto il mondo è pieno.

Luca Craia


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