giovedì 16 aprile 2015

Dove eravamo rimasti? Di Anna Lisa Minutillo




Crollano ponti e crollano scuole, crollano idee e valori , crollano le ribellioni interiori, crollano gli entusiasmi e gli incanti della vita, crollano le solidità che ci accompagnavano da sempre, crolla il modo di comunicare, crollano i dialoghi, crolla l’onestà, la voglia di mettersi in discussione, crolla giorno dopo giorno la vita. Corrono immagini che si accavallano fra loro, corrono ricordi e modi di fare fra le pieghe dei miei pensieri, corrono leggeri, a volte pesanti rimpianti, corrono parole che si dispiegano al vento come vele che ornano barche donando eleganza e candore, corrono idee che riempiono la testa e il cuore, corre troppo tutto: eppure, a volte, tutto sembra essere rimasto esattamente dove lo avevamo lasciato. Dove eravamo rimasti? C’erano giovani che volevano costruirsi un futuro pochi anni fa, c’erano le attese per una telefonata che arrivava sul telefono di casa e si parlava fitto fitto mangiandosi la parole per non farsi sentire. C’erano scuole che non ci crollavano addosso e ci accoglievano con maestre protettive, che a volte avevano l’età delle nostre nonne e si pettinavano e si vestivano proprio come loro. Non avevamo aule interattive ma solo la carta carbone che aveva un insolito profumo, la gomma pane che usavamo più per giocare che per cancellare e la colla nella scatolina di alluminio che profumava di anice e cocco eppure eravamo felici di non possedere fra le mani un cellulare, anche di litigare a volte con i compagni di classe ma lo eravamo ancor di più quando a testa bassa ci chiedevamo scusa e ci dicevamo mi dispiace. Queste scuole non erano forse antisismiche, possedevano lavagne di ardesia, cancellini e gessetti colorati ma non ci crollavano addosso però. C’erano ponti creati per unire e non per dividere o per sottolineare le diversità, c’erano ponti di idee che ci abbracciavano tutti, che collegavano la voglia di esplorare alla possibilità di poterlo fare. C’erano ponti che ci permettevano di attraversare la nostra bella nazione e di giungere dove parenti ed amici ci aspettavano impazienti da un anno, si possedevano piccole utilitarie, non esistevano tre corsie o anche più, si impiegava una vita per arrivare a destinazione ma ci arrivavamo, i ponti non crollavano e noi ogni volta ricreavamo la stessa splendida magia. C’erano mamme che avevano già un esercito di bimbi e nutrirne uno in più davvero costava enormi sacrifici, c’era poco di cui stare allegri, c’era poco cibo nei piatti, c’era meno igiene ma si tendeva comunque a crescere la nuova vita che giungeva, si tendeva a non abbandonarla e a non abbandonarsi ad atti vili e squallidi, c’erano le favola da raccontare intorno al fuoco, c’era il rumore della pioggia e il profumo del pane appena sfornato, la condivisione, l’accontentarsi ma l’andare comunque avanti. C’erano le persone che frequentavano la chiesa, quelle che un po’ dannate bestemmiavano tutta la loro rabbia, quelle che predicavano bene e razzolavano male ma a nessuno veniva in mente di optare per una selezione decidendo di togliere la vita a chi non la vedeva come loro, al massimo il solito “chiacchiericcio” di paese, le solite battutine, ma privare qualcuno erigendosi a giudice arbitro delle vite altrui, questo mai. C’erano le persone che siglavano accordi ed impegni con una stretta di mano, che fondavano società collaborando, che in modo equilibrato e coscienzioso distribuivano gli incassi, nessuno giocava con la vita di nessuno anche se questo voleva spesso dire arrivare per primi in azienda ed andare a casa per ultimi. Lo stile di vita non mutava poi molto, rispetto a quello dei sottoposti, si cercava di essere onesti, di non cedere a ricatti, di non svendersi a strani giri che i li avrebbero fatti girare in modo strano successivamente per poi abbandonarli sul lastrico subito dopo. Erano pochi gli aerei privati, le isole acquistate, i villaggi aperti per ospitare la creme dell’elite.

 Si dava importanza ad altre cose, si teneva sempre vivo il filo che riconduceva alla provenienza, non ci si dimenticava di quanto fosse costato ai padri dell’epoca riuscire a fornire un’istruzione che andasse oltre la semplice licenza media. C’erano case coloniche e distese di girasoli, fiori di campo e torrenti in cui spesso ci si lavava o si lavava la biancheria, c’erano coltivazioni di frutta e grano, c’erano profumi e scenari meravigliosi e le strade erano di terra battuta, ci si impolverava tutti e si usavano spesso carretti, ma non c’era la lentezza dell’aridità ma la lentezza dell’attendere l’arrivo di qualcosa o di qualcuno. Non si deturpavano paesaggi, non si scavava per nascondere scorie pericolose, amianto, rifiuti tossici, olii esausti non si moriva di cancro da bambini, ci si cibava di prodotti che di chimico non contenevano nulla, che venivano innaffiati dalla pioggia oppure dall’acqua sorgiva dei pozzi e un pomodoro profumava di pomodoro, lo potevi addentare solo lucidandolo con un canovaccio da cucina. Non si costruivano mega collegamenti stradali per riciclare denaro “sporco”, non ci si appropriava della terra che i contadini avevano gelosamente coltivato pagandola quattro soldi perché terreno agricolo e poi usarla per continuare a gettare cemento sporco che serve solo a sporcare ed a creare percorsi ad alto costo che nessuno, o pochi, utilizzano. C’erano bambini che assomigliavano a bambini e non a piccole rockstar che si atteggiano fin da piccoli, non venivano cresciuti per poi essere gettati fra le braccia di personaggi illustri per assicurarsi in qualche modo un futuro, per scendere a compromessi ma per aiutare la famiglia, per cercare di dare loro un istruzione, per fargli conoscere quanto si faccia alla svelta a giudicare senza conoscere prima quanto sia bassa la terra. Ora ci sono i bulli, quelli preparati, quelli che più hanno e più pretendono, quelli che escono la sera e rientrano a casa al mattino successivo a tredici anni, ma sbagliano loro oppure si ritrovano genitori che non sono in grado di ricoprire quel ruolo? Ora che per preparazione, evoluzione, modernità, maturità non dovrebbero esistere diversità si educa alla non accettazione e al ti do quello che vuoi così almeno non mi stressi più. C’erano vicoli in cui non c’era nulla se non il rumore dei passi ma si cantava insieme la sera e si colorava il silenzio con le voci, c’erano piazze che venivano chiamate piazze ma da offrire avevano solo quattro panchine ed una piccola fontana oppure un lavatoio ma ci si ritrovava ad ascoltare i racconti di chi aveva visto l’orrore della guerra e la portava ancora nel profondo degli occhi. C’era l’odore del pane, il profumo del bucato steso al sole in giardino, le porte di casa che venivano lasciate aperte, c ’era la vita, quella fatta di piccole cose e si era contenti. Ora ci siamo noi, ora ci sono le nostre domande ed i nostri dubbi, ora c’è la voglia di riscoprirsi bambini per guardare il mondo con gli occhi con cui avrebbe bisogno forse di essere guardato, ora c’è chi legge e potrebbe dirmi che è la solita banale retorica, quella del si stava meglio quando si stava peggio e forse suonerà anche così non lo so e comunque non spetta a me dirlo.

So che ci sarebbe tanto da aggiungere, ci sarebbe da dire che si le scuole non crollavano ma non davano la preparazione che danno ora ed allora perché con tanta preparazione non siamo in grado di regalare l’amore? Ci sarebbe da dire che non si può pensare al ricoprire grandi distanze con carretti o biciclette ed allora perché nelle nazioni dove questo avviene le cose vanno avanti comunque e non ci si brucia i polmoni? Ci sarebbe da dire che non sempre le mamme erano delle buone mamme, che le donne subivano anche tempo fa, che alcune i loro figli li hanno anche abbandonati ma allora perché si conoscono così tanto bene le leggi quando si tratta degli altri e non si conoscono quando lo stesso problema potrebbe riguardare noi? Perché non si capisce che i bimbi si possono partorire in ospedale essendo assistiti e che si può decidere di lasciarli in adozione senza mettere a repentaglio una vita che si tiene in grembo per nove mesi? Si potrebbe dire che le vie di comunicazione servono, accorciano le distanze ed allora perché la domenica sulla bre-be-mi si riesce a giocare a pallone da quanto è frequentata? Mi si potrebbe far notare che si moriva anche prima, certo, ma se accadeva era solo perché mancava il modo per curarsi all’epoca e non come accade ora invece per la corsa sfrenata all’inventarsi il modo per farci morire come se dessimo fastidio, dopo tutti gli sforzi che facciamo per cercare di vivere nonostante tutto e tutti in modo dignitoso, libertà che non sanno più come fare per strapparci di mano. Mi si potrebbe contestare che la tecnologia serve, ha un ruolo determinante per le comunicazioni, per accorciare le distanze ed allora qualcuno mi sa spiegare perché si faccia così tanta fatica a donare un abbraccio, a dire un ti amo oppure a chiedere scusa? Mi scuso con tutti voi, mi scuso per non essere così alla moda, mi scuso per apparire come una nostalgica dei tempi andati, mi scuso perché il rumore mi da noia ed amo la voce della natura, mi scuso per non essere all’altezza oppure per non essere riuscita a cadere così in basso, mi scuso perché amo la vita ed in molti accadimenti sento solo odore di sangue. 

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