giovedì 16 gennaio 2014

I Racconti della Marca Bassa - Mariopanza



Quando Mario si presentò la prima volta in classe tutti gli altri bambini capirono immediatamente che era diverso da loro. Lo capirono più che altro dal colore del grembiule che, invece che essere nero come quello che tutti loro portavano, era azzurro. Mario veniva da un paese della provincia, ma molto più a sud, e lì aveva fatto le elementari fino alla quarta. Poi i suoi si erano trasferiti e lui ora si ritrovava addosso gli sguardi incuriositi e divertiti di una ventina di sconosciuti. Il fatto che provenisse da un paese del sud del Piceno era il secondo fattore di differenza: l’accento era chiaramente dissimile a quello degli altri. A quell’epoca la difformità di cadenza si notava molto più di adesso: ora siamo tutti cosmopoliti, mischiati, e puoi sentire da un orecchio qualcuno parlare romanesco e dall’altro uno che parla cinese pur stando nel cuore delle Marche. Allora invece i paesini erano ben chiusi su se stessi e quando arrivava uno di fuori – e per fuori intendo tutto quello più lontano di un raggio di cinquanta chilometri - lo sgamavi alla prima parola. Il terzo fattore di differenziazione tra Mario e i suoi nuovi compagni era il suo enorme stomaco. Nessuno sapeva allora che si trattava di una malattia molto grave che da lì a qualche anno lo avrebbe ucciso. Era solo un elemento fisico notevole, ridicolo ai loro occhi e, con la sublime cattiveria di cui soltanto i bambini sono capaci, lo chiamarono già dalla ricreazione “Mariopanza”.
            Mariopanza era timido e riservato, non intelligentissimo, buono di cuore ma diffidente verso il prossimo, forse perché il prossimo raramente si dimostrava ben disposto verso di lui. Così si isolò e non fece amicizia con nessuno della sua nuova classe. Passavano i mesi ed era sempre più solo. Si innamorò alla follia di Miriana, la ragazza più carina, che era anche il capo (la capa) delle femmine e che aveva un caratterino che te la raccomando. Vuoi per la sua innata timidezza vuoi perché lei non era certo facile da avvicinare per un introverso cronico come lui, Mariopanza esprimeva il suo amore con l’adorazione estatica e statica. Passava il suo tempo a guardarla. In quanto a parlarle nemmeno ci pensava.
            Capitò che un giorno, a ricreazione, scoppiò una lite per motivi ancora incomprensibili – ma a quell’età, si sa, le liti sono quasi sempre incomprensibili, e non solo a quell’età - tra un bambino della classe di cui stiamo raccontando e un altro di una classe attigua, sempre quarta elementare. La lite si estese tra i compagni dell’uno e dell’altro e la rissa fu evitata solo dal suono della campanella che rimandava tutti in aula. Ma non era finita lì. Alla fine della scuola un gruppo di bambini dell’altra classe si mise ad attendere fuori dal portone quelli della classe di Mariopanza. La rissa, evitata a ricreazione, scoppio con tutto il suo furore alle 12,30. E furono botte da orbi e insulti. Tutto regolare insomma. Finchè Antonella, l’omologa di Miriana nell’altra classe, capa capessa di tutte le femmine e un po’ anche dei maschi, decise che, per rinforzare la sua figura di condottiera suprema in battaglia, avrebbe dovuto tagliare la testa al nemico abbattendone il comando. Armata di un ombrellino rosso vivo, alzandolo sopra la testa con fare minaccioso, si avventò verso Miriana decisa, forse, a romperglielo in testa.
            Mariopanza, come sempre, stava di lato, non partecipava. Osservava la scena con quei suoi occhioni tristi e vigilava attento sull’incolumità dell’amato bene. Si accorse subito delle intenzioni della capessa avversaria e, per la prima volta nella sua carriera di compagno di scuola e innamorato segreto della suddetta, intervenne. Lo fece con impeto, decisione e anche un po’ di incoscienza. Si lanciò contro la ragazza armata di ombrello, glielo prese con uno strattone secco facendola precipitare all’indietro e fece a lei quelle che lei voleva fare all’altra: glielo ruppe in testa. L’ombrello era di poco valore, leggerino, si accartocciò prendendo la forma del cranio della povera bambina ma quest’ultima non ebbe gravi conseguenze: fu più ferita nell’orgoglio che sul capo. Tutti videro la scena e ogni tafferuglio si fermò all’istante. Quando ci si rese conto che Antonella non s’era fatta (quasi) niente scoppiò una fragorosa risata collettiva. La rissa fu immediatamente accantonata e fu pace immediata e duratura. Qualcuno soccorse la bimba ombrellata, i più si scompisciavano dalle risate e molti presero a dar pacche sulle spalle a Mariopanza, complimentandosi con lui per il gesto eroico. Miriana gli diede un bacio sulla guancia. Il giorno dopo Mariopanza tornò a sedersi al suo posto, non parlò con nessuno e nessuno parlò con lui. Nei secoli dei secoli.

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